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Accrescere la qualità manageriale 04 Settembre 2018 15:00

scritto da Chiara Lupi

Accrescere la professionalità delle persone e far crescere il ‘capitale competenze’ complessivo delle organizzazioni. Per questo le attività di Assessment sono fondamentali, rappresentano una bussola di orientamento che garantisce alle aziende di mettere in atto un efficace percorso di sviluppo organizzativo, come ci spiega Angela Gallo, Presidente di IdeaManagement, in questo colloquio. In linea con le esigenze di un mondo che cambia, le aziende devono essere in grado di innescare processi di apprendimento anche innovativi. Con il supporto di un partner, naturalmente, in grado guidarle in un percorso di crescita coerente con le esigenze di business.

Incontriamo Angela Gallo nella sede di IdeaManagement nella settimana prima di Natale. Di questi tempi, accanto alla parola crisi, con altrettanta frequenza si evoca l’innovazione. Anche nel corso del nostro colloquio parliamo di innovazione, e approfondiamo come IdeaManagement ha concretizzato questo concetto: percorsi formativi in cui cambiano le regole del gioco, in cui i manager diventano i coach di altri manager con l’obiettivo di creare una community in cui il denominatore comune è la fertilizzazione dei saperi. Uno scenario avvincente, da cui il web non può rimanere escluso.

Se volessimo esordire esplicitando perché l’intervento di IdeaManagement è importante per le aziende, lei cosa racconterebbe ai nostri lettori?

Innanzitutto partirei dalla nostra azienda, una realtà consolidata, con oltre vent’anni di vita. Vent’anni di esperienza nel trasferire know how, tecnicalità. Non offriamo servizi tout court, mettiamo la popolazione Hr nelle condizioni di fare bene il proprio lavoro. E il mercato ci ha dato negli anni un importante riconoscimento.

Come potremmo sintetizzare l’obiettivo del vostro lavoro?

Lavoriamo affinché le persone possano accrescere la loro professionalità. Il nostro obiettivo è aumentare il valore delle persone all’interno delle organizzazioni. Non è un caso che anche  nel nome troviamo ‘human capital’, il nostro impegno è rivolto ad aumentare di valore del capitale umano. Per poterlo fare, uno dei nostri ambiti di specializzazione è l’area dell’Assessment: il ‘capitale competenze’ personale che deve essere messo in linea con il capitale competenze richiesto, non in un’ottica statica ma evolutiva, per far crescere capitale complessivo. La somma del capitale individuale diventa di conseguenza capitale per l’azienda nel suo complesso.

Angela Gallo, una vita dedicata allo sviluppo manageriale

Angela Gallo, Presidente di IdeaManagement, è laureata in Filosofia ad indirizzo psicologico e ha una specializzazione in Psicologia e una in Psicodiagnostica. Ha frequentato il Master in Business Administration e un Executive Master in sviluppo organizzativo. Consulente di organizzazione aziendale nel campo dello sviluppo manageriale, ha collaborato con le principali aziende operanti nel mercato italiano e internazionale nei temi della people strategy. È esperta di metodologia di Assessment e di apprendimento manageriale. Dal 2006 è Presidente della società IdeaManagement Human Capital S.r.l. e dirige la School di Assessment e il Master di Skill Coaching. Ha pubblicato i seguenti libri: Fare Assessment, F. Angeli 1999; L’Assessment in azione. Certificare la valutazione: esperienze aziendali, F. Angeli 2002; Valorizzare il capitale manageriale tramite gli Assessment Questionnaires, F. Angeli 2006; Percorsi ed esperienze di Assessment a confronto, F. Angeli 2009; Parlami, Capo… Il colloquio nella gestione dei collaboratori: logiche, strumenti, metodi e tecniche di conduzione, F. Angeli 2011.

Quale la sfida più importante?

Abbiamo lavorato tanti anni nei processi di Assessment , poi è stato abbastanza sequenziale occuparsi di apprendimento. Il punto è come acquisire o aggiornare le competenze diminuendo i tempi di apprendimento; questa la sfida di oggi e l’Assessment diventa una bussola di orientamento. La bussola serve per fare il ‘punto nave’, senza di questo si rischia di vagare senza meta. Ecco l’immagine della bussola che ricorre… Questa l’idea simbolica.

L’Assessment non va associato a un percorso di consapevolezza?

Il problema è che, in genere le persone vengono ‘mandate’ a fare Assessment. Noi cerchiamo di non far calare questo percorso dall’alto affinché le persone ne comprendano il significato. Allora non è un caso se i livelli di soddisfazione e condivisione dei partecipanti sono notevoli. Abbiamo indici di ritorno sui dati valutativi degli interessati pari al 90%. Nei dati non solo si riconoscono ma gli stessi acquisiscono valore, i processi di consapevolezza sono dunque molto forti. Non è un caso se noi siamo stati i primi a fare le battaglie per la condivisione dei processi di feedback e per la trasparenza.

Ci può spiegare meglio?

Quando ho iniziato la mia attività si valutavano le persone ma non si consegnavano i feedback. Il nostro impegno prioritario è stato convincere le aziende che restituire i feedback significava instaurare con i dipendenti un rapporto più adulto e, alla lunga, più efficace. Essere chiari e trasparenti significa che il report che noi stendiamo per l’azienda lo mettiamo nelle mani del diretto interessato. Faticoso, certo, perché bisogna spiegare i dati che si consegnano.

Quali i motivi di questa cultura del ‘non feedback’?

Se dico qualcosa che non va le persone si demotivano. Ma se invece una persona è risultata forte, può ‘montarsi la testa’. Tutto questo è inserito appunto in una cultura del ‘non feedback’ che le persone avevano, e questo è un problema che anche oggi persiste nel rapporto capo-collaboratore e che ho analizzato nel libro Parlami capo.(1) Avviare un processo di crescita verso lo sviluppo organizzativo non è facile e la restituzione del feedback rappresenta un tassello fondamentale. Per questo anche nella nostra School, uno dei moduli formativi si concentra proprio sulla restituzione del feedback agli interessati.

Il passo successivo, qual è?

Il punto evolutivo è il seguente: dopo i processi di analisi e Assessment bisogna cercare di individuare modalità per rafforzare le capacità che servono in scenari di cambiamento continuo e accorciare i tempi apprendimento. Questo il tema forte che si riallaccia al filone dello skill development.

Cosa vi viene richiesto?

Ci viene richiesto sia il contributo valutativo sia la strutturazione di sistemi che le aziende possano gestire in autonomia. Inoltre dobbiamo aiutare le aziende a ragionare sul ‘cosa fare dopo’ e aiutarle con modalità che consentano di abbinare oltre alle classiche leve della formazione anche altre leve.

Un punto di forza dell’efficacia del vostro metodo è la possibilità di misurare i risultati…

Per questo utilizziamo il termine ‘bilancio’. Perché lo scopo del bilancio è fare il punto: nel momento in cui mancano sistemi di misura diventa difficile orientare l’azione. E il nostro bilancio rappresenta una misura non statica, ma funzionale a mettere in moto interventi successivi.

Laddove di mettono in moto delle cose, per usare una sua espressione, le aziende, come reagiscono?

Farei degli esempi: abbiamo realizzato un bell’intervento su una popolazione di oltre 400 persone di un importante gruppo bancario. Un intervento di valutazione per capire il patrimonio di competenze, capire cosa serve loro e valutare la presenza di profili con un potenziale da far crescere. Abbiamo poi messo a punto una modalità di gestione veloce di 400 feedback.

Cosa è successo da questo ritorno valutativo sui diretti interessati?

I diretti interessati hanno sollecitato l’azienda, hanno trovato interessante il momento di analisi e hanno chiesto di proseguire nel percorso. Perché gli spunti che emergono dai nostri report evidenziamo come fare per far risaltare le capacità.

Che cosa è cambiato?

Il gruppo ha aumentato la sensibilità a leggere le richieste delle sue persone. L’azienda deve credere nel valore di fare analisi per migliorare la qualità e il clima interno. Questo l’atteggiamento che fa la differenza. Le aziende che fanno analisi solo per avere conferme non proseguiranno in un percorso costruttivo. Se la valutazione si esaurisce in report senza che nessuno ne utilizzi le potenzialità, in questo caso l’attività ha poco impatto sullo sviluppo.

Mentre invece questi interventi dovrebbero favorire il cambiamento…

È proprio così. Ora i processi di Assessment servono per innescare processi di apprendimento e crescita in una situazione organizzativa in cui le crescite verticali non esistono più. Per questo sviluppare la professionalità è un fattore motivazionale non da poco. E poi in un mondo che velocemente cambia c’è sempre bisogno di aggiornare professionalità e competenze in tempi ristretti.

Le aziende che fanno investimenti in tal senso migliorano le loro performance?

Sarebbe interessante fare un’analisi. Posso affermare con certezza che le aziende che investono di più sono quelle che reggono meglio in questo periodo di crisi.

Come mai?

Reggono meglio perché hanno maggiore consapevolezza delle competenze sulle quali possono contare e hanno persone più preparate. Le due variabili poi interagiscono. Un circolo virtuoso che si alimenta e IdeaManagement contribuisce ad accrescere. Aiutiamo l’azienda a crescere, e crescere oggi significa anche rimanere sul mercato.

Aiutate a crescere responsabilizzando, non è così?

Il contributo che noi diamo riguarda anche la responsabilizzazione dei manager. Spesso lo sviluppo viene attivato direttamente dai manager, e dalla loro consapevolezza parte tutto il percorso. I processi di sviluppo partono da lì. Altrimenti lo sviluppo nasce in corso d’opera come richiesta loro. Il problema risiede nel confronto. Altro cambiamento vero è il prendersi carico della propria crescita. E questo non è un cambiamento da poco…

Quale il ruolo della vostra School e che aiuto potete dare?

Innanzitutto abbiamo individuato due target di riferimento: gli specialisti Hr e i manager. Farsi carico della crescita delle persone rappresenta sempre più una responsabilità manageriale e ci confrontiamo con manager che hanno il desiderio di migliorare le loro competenze per farsi poi carico della loro squadra. Per questo al Master di Skill Coaching (giunto quest’anno alla sua IV edizione) partecipano Hr, ma anche manager, ed è bello vedere ad esempio il direttore di produzione di uno stabilimento che segue un master di coaching. Un’iniziativa costruttiva, che genera coinvolgimento e condivisione della conoscenza con una modalità molto efficace. Simpaticamente abbiamo dato vita ad una formula ‘ManagerToManager’, che prevede che un manager fornisca ausilio al manager di un’altra azienda. Figure che continueranno a fare i manager ma ogni tanto escono dalla loro azienda e danno ausilio di coaching a manager inseriti altrove. Chiaro che tra le due aziende non ci deve essere incompatibilità, ma abbiamo sperimentato che le esperienze funzionano davvero. Il manager che riceve ausilio da un altro manager ne percepisce molto più la concretezza e il linguaggio di business e, dall’altra parte, trova un manager che si è preparato tecnicamente. Si innescano così cambiamenti importanti in termini di qualità manageriale.

Se volessimo capire il trend, quali sono le richieste che le aziende fanno di più?

Diminuire il tempo di valutazione e aumentare il tempo dell’ausilio successivo. Siamo chiamati oggi a pensare a formule di processi di apprendimento che rispecchino le esigenze manageriali. E il fattore tempo gioca un ruolo rilevante.

Con questo obiettivo avete sviluppato Gym&Coaching. Ci può raccontare?

Quando è nato Gym&Coaching voleva essere un momento di incontro tra manager ribaltando alcuni presupposti formativi: al centro abbiamo inserito l’allenamento pratico, il fare concreto. Ci siamo accorti che la palestra funziona perché è uno spazio protetto. Nei processi di apprendimento formativo non sempre il manager si mette in gioco fino in fondo per salvare il suo ruolo. Nelle sessioni di G&C non può partecipare più di un manager alla volta della stessa azienda. Quindi cosa succede? G&C catalizza la potenza dell’apprendimento in team che l’attività di coaching, tipicamente one to one, non può avere. Completa lo scenario un facilitatore, che è un coach e spesso un manager che ha maturato negli anni una competenza specifica. Si tratta, in sostanza, di un momento di integrazione tra aziende e, in più, si crea una sorta di rete.

Quali le attività più significative del 2011?

Ci siamo avvicinati con determinazione al web e abbiamo lavorato sulla messa a punto di uno strumento di analisi motivazionale: sistemi di web coaching per lavorare a distanza, web feedback. Abbiamo lavorato ad un progetto con FBA (Fondo Banche e Assicurazioni) molto interessante e stiamo ultimando la mappatura di tutti i ruoli del mondo bancario per i processi di certificazione europea. Gran parte delle nostre risorse sono state catalizzate dal lancio di Gym&Coaching.

Una metodologia efficace, subito

Sandra Ermacora, Responsabile Sviluppo e Formazione di Fastweb ha sperimento il percorso Gym&Coaching e ci racconta le impressioni di una modalità che consente di applicare, immediatamente, ciò che si apprende in ‘palestra’.

Lei ha sperimentato il percorso di Gym&Coaching. Cosa ci può raccontare?

Abbiamo progettato questo percorso mettendoci nei panni dei partecipanti, per capire davvero quali potessero essere i fattori critici di successo dell’iniziativa. Il tempo a disposizione (sempre poco, da far fruttare al massimo); l’esigenza di confrontarsi con colleghi di realtà aziendali diverse (per mettere a fattor comune le esperienze) ma, d’altro canto, il bisogno di personalizzare il proprio percorso di apprendimento, focalizzandosi anche su aspetti individuali; la necessità di portarsi a casa “qualcosa da poter applicare fin da subito”, per dare un senso di utilità all’impegno messo in campo nei giorni di formazione; l’esigenza di non essere ammorbati da teorie che sono applicabili in qualsiasi campo tranne nella propria realtà lavorativa. Bene, credo che la formula Gym&Coaching risponda perfettamente alle esigenze e ai desiderata dei manager ‘in formazione’.

Ci può dare una valutazione sull’efficacia di questo metodo?

Efficacia per me significa: quanto di ciò che ho appreso durante il percorso ho messo in pratica. Le simulazioni che si fanno in aula, su casi aziendali reali, sono il modo migliore per toccare con mano (facendo o vedendo fare concretamente) cosa può funzionare anche per sé, nella propria realtà. E il mettersi in gioco ‘per finta’ predispone a mettersi in gioco anche nella realtà quotidiana. La sessione di coaching individuale, a distanza di qualche mese dalla ‘palestra’, da un lato responsabilizza la persona a non mollare la presa, dall’altro consente di focalizzare l’attenzione sul singolo e sugli aspetti di miglioramento individuali. Detto questo, ovviamente l’efficacia dipende anche dalla volontà della persona!

Come valuta l’idea di ‘diventare coach’ e quali i vantaggi di questa attività?

Ho maturato l’idea di diventare coach qualche anno fa, quando ho frequentato il mio primo corso di coaching. Da allora ho continuato a costruire la mia professionalità in questo ambito partecipando a ulteriori corsi di specializzazione, tenendo sessioni di coaching in diverse aziende e, soprattutto, mettendo in pratica i fondamentali del coaching nelle attività quotidiane: focus sulla persona, sul riconoscimento e sullo sviluppo delle capacità di chi vive i processi aziendali e ne deve diventare progressivamente attore e non soltanto spettatore.

E i progetti per il 2012?

Innanzitutto abbiamo introdotto il nuovo Master Assessment e Development. Ci siamo resi conto che la preparazione degli Hr avviene un po’ a macchia di leopardo. C’è bisogno di acquisire tecnicalità che richiedono un filone logico ben preciso. Abbiamo strutturato il mondo del sapere nell’ambito dell’Assessment development in un vero e proprio master. Nel 2011 l’Assessment School ha coinvolto 150 partecipanti di 70 aziende diverse. Contiamo di ampliare il coinvolgimento nel corso del nuovo anno.

Quali gli ambiti sui quali vi concentrerete?

Vogliamo creare una community di coaching. Tutti coloro che hanno partecipato ai master precedenti trovano uno spazio in cui ritrovarsi per essere propositivi in merito alle riflessioni sulle attività di coaching. Lavoriamo a una sorta di superamento dell’e-learning. Il coaching coinvolge il 2% della popolazione, poi c’è la formazione d’aula, poi c’è il vuoto. Poiché lavoriamo sulle competenze, ci stiamo occupando di un sistema in cui la persona potrà seguire un percorso di auto allenamento sulle singole competenze che gli servono. Da gestire in autonomia.

Ci può spiegare meglio?

Pensiamo a una macchina intelligente che contiene un progetto personalizzato e, a fronte degli output realizzativi della persona, è in grado di inviare stimoli esercitativi. Un progetto molto ambizioso che consente di lavorare da soli su un percorso orientato al fare. E quindi molto efficace. Come se iniziassimo a giocare su una consolle. Dove i giochi possono durare diversi mesi perché il sistema dovrebbe seguire le persone anche per diverso tempo. Ci stiamo ancora lavorando, e stiamo investendo molto. Vorremmo anche mettere a punto un Assessment rivolto all’area commerciale.

Tornando a Gym&Coaching, possiamo sintetizzarne il valore? Quante persone avete coinvolto in questi percorsi fino a ora?

Il valore di questo approccio risiede nella condivisione delle esperienze. Io apprendo lavorando anche sul caso di un collega e questo consente di aprire una diversa mappa mentale di riferimento. Fino a ora abbiamo coinvolto 90 partecipanti di 22 aziende diverse.

Come è nata l’idea?

La formazione più classica rispetto a una formazione manageriale non è sempre efficace. Spesso è difficile traslare i contenuti formativi nella realtà nella quale si opera. C’è bisogno di qualcosa che si lega alla pratica quotidiana. Le maggiori difficoltà si riferiscono ai processi di natura relazionale interna. In quest’area c’è maggiore necessità di investimento. Quando ci sono tanti professionisti con solide valigie di competenze, metterli insieme è un gioco di team building non da poco. Questo significa che se non si riesce a farli lavorare insieme si creano criticità. Ci siamo interrogati e abbiamo immaginato un grande coaching di gruppo che, riportato in un momento di apprendimento individuale, sommato all’apprendimento collettivo, crea generazione di valore.

Altra leva di apprendimento sono i feedback che arrivano lateralmente…

Certo, la scelta di mettere in campo questa modalità di palestra è proprio quella di sfruttare i colleghi, affinché imparino a dare i feedback su quello che osservano. Il facilitatore aiuta tutti a restituire i feedback in modo che l’apprendimento avvenga tramite ciò che gli altri osservano. Il potenziamento dell’apprendimento deriva dai feedback, e arriva molto forte. Si acquisisce consapevolezza e non ci si ferma all’osservazione ma si arrivano a suggerire modalità di comportamento. Da qui la crescita individuale.

Secondo voi le aziende di cosa hanno più bisogno?

Di risorse finanziarie, mi vien da dire! Ma anche di competenze specifiche. E spesso le aziende commettono l’errore di non prestare sufficiente attenzione al capitale che già possiedono. Noi, con i nostri interventi, possiamo aiutare le organizzazioni a fare un salto di qualità.

Le aziende di medie dimensioni si approcciano alle vostre attività?

Sicuramente l’interesse c’è anche da parte delle aziende medie che si affacciano con timidezza alle nostre proposte, temendo però di non essere in grado di gestire le attività che proponiamo.

Come vogliamo rassicurarle?

Dal mio punto di vista le aziende si dividono in quelle che non hanno attenzione per le persone e aziende che investono sulle persone. Le aziende medie si affacciano, in modo timoroso, ma hanno la preoccupazione della gestione e della disponibilità a investire risorse finanziarie per queste attività. Il problema fondamentale, oggi, è saper valorizzare e far rendere di più quello che si ha in casa. La difficoltà delle aziende è che non sanno valorizzare il loro capitale umano. La differenza la fa il responsabile Hr che è il motore di tutte queste attività. Molto spesso nelle aziende manca la figura che deve lavorare allo sviluppo. Laddove il capo del personale è un amministrativo, tutte le attività di cui stiamo parlando difficilmente si svilupperanno.

A questo proposito, il vostro interlocutore all’interno dell’azienda, chi è?

Nel nostro caso l’Hr può facilitarci ma allo stesso modo ostacolare la nostra la attività. Il manager è un committente molto più ‘semplice’ perché ha il problema quindi lavoriamo su una necessità esplicita. Per questo è importante iniziare a lavorare con gli Hr, dando loro un ruolo specifico. Anche le competenze dell’Hr vanno valorizzate, accresciute, coltivate. Se nelle aziende medie arriva un Hr con un’esperienza più consolidata, allora l’azienda media si muove. Al contrario il percorso sarà più difficoltoso. In questo senso l’Hr deve essere al centro dell’attenzione.

L’HR come business partner. Di questo parliamo?

Certamente! Le funzioni di servizio devono poter essere misurate in maniera concreta e quantitativa. Bisogna però avere competenze, visione d’insieme ed essere abituati a lavorare ad alti livelli. Se si proviene da un background specialistico e amministrativo è più complicato.

Voi potreste essere il business partner dell’HR…

Ce lo auguriamo! Abbiamo strutturato i nostri master sempre a quattro mani e in ogni modulo c’è IdeaManagenent e un Hr manager competente di un’azienda che è portatore di competenza. Vorrei sottolineare che la competenza non la trasferiamo esclusivamente noi ma anche l’Hr manager trasferisce una parte di know how che è il derivato della stratificazione della sua esperienza. Ogni modulo può contare sull’esperienza di un diverso Hr per produrre una sorta di contagio positivo dell’argomento.

Il tutto si può sintetizzare con l’innovazione dei processi di apprendimento. Come si realizza, in concreto?

Innanzitutto l’innovazione di processi di apprendimento deve essere gestita da esperti. Il concetto su cui noi stiamo lavorando è legato alla fertilizzazione e l’obiettivo potrebbe essere creare una community. Se volessimo rubare un concetto alla biologia, potremmo parlare di coevoluzione…

Articolo tratto da: Persone & Conoscenze N. 75, pag. 14