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Manager, che pensi sull’apprendimento? 04 Settembre 2018 10:00

scritto da Angela Gallo

Le pagine che seguono sono una riflessione su alcuni risultati di una ricerca sull’apprendimento manageriale. Lo scopo dell’indagine è stato quello di comprendere come i manager affrontano il tema del loro apprendimento, quali difficoltà incontrano, quali bisogni esprimono. L’interesse al tema in oggetto nasce dalla crescente consapevolezza dell’importanza che in ogni ambito, sociale, aziendale e personale viene ad assumere la modalità evolutiva per eccellenza: ‘l’apprendimento’.

Il perché di una ricerca

La ricerca, di carattere ancora esplorativo, ma basata su ampi dati empirici, è stata realizzata grazie alla collaborazione tra Ideamanagement Human Capital e l’Università di Milano-Bicocca, con l’impegno personale di Stefano Castelli Professor of Work and Organizational Psychology Dept. of Psychology Università Statale di Milano. Nella contemporanea turbolenza, il termine apprendimento abbandona il suo significato di prassi usuale, inteso prevalentemente come trasferimento meccanicistico di nozioni, e inizia a impregnarsi di nuovi significati capaci di fornire una guida interpretativa nella molteplicità degli eventi economici, organizzativi, personali che accadono nella nostra vita quotidiana. I motivi dell’attualità dell’apprendimento per i manager, e per i diversi attori economici, possono individuarsi in due aspetti centrali: il ruolo centrale dell’apprendimento per la comprensione e l’agire nella “società della conoscenza” e il suo essere motore per l’evoluzione e lo sviluppo. Se guardiamo il passato, i processi di apprendimento e l’accumulazione di conoscenze sono sempre stati all’origine dell’evoluzione e dello sviluppo progressivo dei modi di vita e di lavoro, ma per interi secoli questi processi furono lentissimi, tanto da poter sembrare statici durante l’arco di tempo di una vita umana. Questa situazione comincia a cambiare con la rivoluzione scientifica del ’600 e ancora di più dopo la rivoluzione industriale nell’‘800. Arrivando ai giorni nostri, e a partire dagli anni ’70 del ‘900, siamo entrati, o meglio dire precipitati, in un periodo di ‘grande trasformazione’, determinato da una accelerazione esponenziale della quantità, profondità e diffusione di nuove conoscenze in tutti gli ambiti della nostra esistenza quotidiana. Per comprendere questa grande accelerazione possiamo ricordare alcuni fattori socio-economici rilevanti:

  • I processi di globalizzazione: la progressiva e accelerata caduta delle barriere tra le nazioni ha attivato quella libertà di movimento sul mercato dei capitali, delle merci e del lavoro con effetti in alcuni ambiti di estrema positività ma, in altri, di caduta delle tradizionali barriere protezionistiche;
  • L’innovazione tecnologica permanente: la prima e più importante novità è stata la tecnologia connessa con l’elaborazione e la diffusione dell’informazione, l’attivazione di reti, non solo telematiche, nell’universo socio-economico. I dati, le informazioni, le conoscenze, la velocità della loro circolazione diventano il motore di un nuovo ciclo dello sviluppo economico mondiale. Le persone si ritrovano, insieme, in una vasta piazza virtuale dove possono scambiarsi un bene prezioso: i loro pensieri, le loro conoscenze, ma soprattutto sono in grado di attivare quei processi di coevoluzione generativa di ulteriori conoscenze, esperienze, emozioni;
  • Il superamento dei processi organizzativi di tipo gerarchico lineare: la piramide aziendale inizia ad abbandonare, a volte più nei fatti che nei modelli organizzativi, la tradizionale struttura verticistica e inizia a modellarsi in modalità piatte, flessibili, reticolari, che trovano spazio nella learning organization;
  • Il bisogno dei professionisti di riflettere sulla cura di sé, sulla loro soggettività professionale. Acquista valore individuare, riconoscere e apprezzare l’identità del proprio capitale di competenze. È la motivazione individuale il motore che permette di far crescere il proprio capitale e alle generazioni professionali si aprono nuove opportunità, ma anche momenti di crisi per l’abbandono dei modelli del passato. Pensiamo, ad esempio, agli attuali 50enni che possono, se non cadono nello sconforto degenerativo del disorientamento, giocarsi il loro capitale professionale in molteplici occasioni. Ma in termini generali possiamo dire che per tutti noi l’identità professionale assomiglia a un composito ‘puzzle’ che si realizza nel tempo, lungo l’intero corso della vita. È questa consapevolezza che oggi viene valorizzata nel mondo economico dell’impresa.

Naturalmente tutta questa linfa vitale deve fare i conti con il sistema socio-economico e le regole di funzionamento del proprio paese di riferimento. Nella nostra cara e amata Italia, territorio continuo di fuga di cervelli, le spinte evoluzioniste si scontrano con sistemi di gestione del bene pubblico antiquate e con un sistema scolastico e universitario che esprime debolezza gestionale e motivo di generalizzata insoddisfazione. Inoltre, la massiccia presenza della piccola e sempre più spesso micro-impresa indica la presenza di capacità imprenditoriali diffuse nel territorio, ma incapace di aggregarsi in network funzionali a creare quella massa critica e consolidata in grado di poter realizzare gli investimenti necessari. Inoltre, una certa tendenza socio-emotiva di continua adattabilità passiva, rischia di ampliare le maglie del blocco delle opportunità. Ma il disorientamento, l’immobilismo da paura diventano sempre conflittuali con lo sviluppo delle scienze cognitive e del comportamento, con i principi ispiratori della neuroeconomia e dell’economia sperimentale, discipline queste che hanno al centro il problema dell’apprendimento, della razionalità e della decisione.  È da loro che ci arrivano le indicazioni che nell’attuale scenario si generano infinite e significative occasioni di ricombinazione creativa dei fattori all’origine del business che, per essere colti e valorizzati, richiedono attenzione, riflessione, apprendimento, tutte qualità che vengono messe a fattore produttivo proprio nella ‘learning organization’.

Le turbolenze come opportunità

In generale, in tutti i sistemi aumenta la velocità dei processi evolutivi, si espandono e si differenziano le variabili in gioco, con la conseguenza di una riduzione della prevedibilità dei fenomeni di interesse, siano essi sociali, economici, organizzativi e personali. L’attuale situazione di crescente complessità non appare transitoria, ma strutturale e irreversibile, e rende insufficiente il ricorso alla ‘razionalità classica’ e alla strumentazione manageriale a essa legata. Così come gli organismi viventi evolvono diversificandosi, non secondo un progetto preciso e razionale, ma spesso per tentativi ed errori, imparando a coevolvere con più o meno successo nel loro ambiente naturale, così oggi le imprese, pur non potendo rinunciare a progettare strategie e pianificazione, devono indebolire le pretese di dominio sulla realtà, rendersi ricettive e flessibili, capaci di rispondere con l’azione alle turbolenze ambientali imparando a declinarle come opportunità di innovazione, piuttosto che come ostacoli alla realizzazione dei loro progetti.  Tutto ciò richiede una nuova cultura, una nuova educazione, una nuova mentalità, un diverso modo di vivere nell’impresa soprattutto da parte dei manager che ne costituiscono la leadership, la guida e la gestione. Sviluppare ‘cultura della complessità’ diventa una delle condizioni direttrici di base di una nuova competenza manageriale funzionale per gli scenari contemporanei. Il nostro presente, e sempre di più il nostro futuro, si caratterizza per una situazione generale permanente di equilibrio dinamico, di discontinuità, di carenza di prevedibilità se affrontata con il pensiero logico-lineare della classica, ma con i fatti superata, prassi manageriale. I manager hanno necessità di allenarsi nella loro competenza trasversale di gestione della complessità secondo la quale l’uomo è capace di stare nelle incertezze, nei misteri, nei dubbi, senza soccombere o annientarsi, ma anzi sviluppando quella energia evolutiva che crea linfa vitale.  Questa richiesta di riforma del pensiero manageriale ha come denominatore comune lo sviluppo ottimale delle proprie caratteristiche metacognitive. La consapevolezza che una persona (manager) possiede del proprio e altrui funzionamento mentale e l’utilizzo di tale consapevolezza per sviluppare e ottimizzare la capacità di regolare i propri processi cognitivi nelle attività di apprendimento e di relazione favorisce, da una parte, la ‘stabilità emotiva’ necessaria per orientarsi in contesti strutturalmente instabili, incerti, indeterminati, mentre dall’altra permette di ottimizzare i modi del proprio apprendimento ad apprendere per autogestire al meglio i propri processi di formazione e acquisizione di sempre nuove conoscenze atte a interpretare il proprio ruolo dentro l’evoluzione dei sistemi economici, aziendali e personali.

I manager della ricerca

L’ambito principale della ricerca è il soggetto dell’apprendimento, il Manager, ma è stato necessario anche considerare l’oggetto dell’apprendimento manageriale (conoscenze e capacità che identificano la competenza) e il contesto in cui avviene l’apprendimento (organizzazione, intesa come insieme dei fattori che rendono possibile l’apprendimento). I seguenti spunti di riflessione sono il derivato di un questionario quali/quantitativo inviato a un team di 100 manager che ricoprono un ruolo dirigenziale in settori e funzioni diversi. Il campione ha coinvolto 64,2% di uomini e 35,8% di donne, rappresentando in qualche modo la differenza di genere, tuttora presente nelle nostre imprese, nel ricoprire ruoli di responsabilità. La necessità di partenza, infatti, era quella di coinvolgere manager abbastanza esperti nell’esercizio del ruolo dirigenziale: circa il 47,6% dei manager coinvolti possiede un’esperienza nel ruolo dirigenziale tra i 6 e 10 anni, il 14,3% tra gli 11 e i 15 anni, il 9,5% tra i 16 e i 20 anni e il 28,6% ricopre il ruolo dirigenziale per un periodo inferiore ai 5 anni. La tipologia di ruoli ricoperti dai manager coinvolti rappresentano una coerente distribuzione tra le diverse funzioni organizzative: Direttori Amministrativi, Direttori Commerciali, Direttori Generali, Direttori del Personale, Direttori di produzione, Direttori R&D, Direttori di funzioni di Staff. Le aziende coinvolte appartengono ai diversi settori di business: Produzione e beni industriali, Servizi, Sanità, Credito e finanza, Energia, Commercio, Alberghi e turismo. Un ulteriore dato di interesse in relazione alla popolazione coinvolta è la loro appartenenza ad aziende medio grandi, quasi equamente distribuite tra multinazionali e a prevalenza italiana.

Alcune risposte alle domande in tema di apprendimento

Quello che segue è un estratto di alcune domande rivolte al campione e delle loro risposte

Che cosa è, secondo Lei, l’apprendimento manageriale? Per la maggioranza dei manager (vedi Fig. 1) l’apprendimento viene definito come ‘capacità’, ossia abilità esprimibile nel fare e assimilabile ad altre abilità manageriali come la programmazione, la decisione, la gestione dei team.

Il significato sotteso a questo termine è legato ad alcuni criteri: l’apprendimento può essere misurabile, costituisce la base di osservazione nella performance, subisce degli incrementi/decrementi in relazione al fare applicativo. Considerare l’apprendimento come capacità pone la responsabilità dell’apprendimento nel manager stesso. È lui che deve individuarne i bisogni, le modalità di fruizione. Così come è lui che decide se apprendere o meno. Di conseguenza, i risultati dell’apprendimento, nel loro significato di capacità, possono essere messi in relazione agli sforzi realizzativi messi in campo. L’apprendimento inteso come ‘processo’, invece, assume il significato di percorso regolarizzato dalla prassi e dalle regole organizzative. Di conseguenza, la responsabilità dell’apprendimento, più che risiedere nel soggetto, sembra risiedere nel contesto organizzativo. In questo senso il nucleo di significato risiede prevalentemente nell’iter realizzativo, inteso come insieme di fasi, attori e strumenti caratterizzati dal criterio di sequenzialità e di movimento. L’apprendimento come ‘mezzo’, infine, assume il senso di tool di lavoro. In questo caso la facilità/difficoltà dell’apprendimento è il derivato delle caratteristiche intrinseche dello strumento. Compito manageriale diventa l’individuazione dei tools di lavoro più idonei. La conseguenza può essere che l’efficacia dell’apprendimento sia anche in relazione al metodo utilizzato.

In che modo riesce a individuare i Suoi bisogni di apprendimento?

Le risposte mettono in evidenza due macro fonti di analisi dei bisogni: il ‘fare gestionale’ e la relazione e il confronto con interlocutori diversi. Per il 70% dei manager il bisogno di apprendimento scaturisce dalla prassi operativa come ad esempio affrontare un problema, incappare in un errore gestionale. Affrontare le difficoltà insite nel fare porta ad avvertire la necessità di colmare un gap. Potremmo affermare che le risposte a questa domanda portino a privilegiare la tipologia di apprendimento incidentale. Caratteristica di questo tipo di apprendimento è la sua natura fortuita e di casualità realizzativa, in quanto sottoprodotto di altre attività. L’apprendimento può essere distinto, secondo un classico schema, fra apprendimento incidentale e apprendimento intenzionale. Si attiva l’apprendimento incidentale quando si è esposti a determinate esperienze il cui scopo primario non è quello di generare un apprendimento e tuttavia ci si trova ad aver imparato qualcosa di nuovo. Si attiva, invece, apprendimento intenzionale quando, deliberatamente, ci si impegna per imparare cose che non si conoscono. Da un certo punto di vista, l’apprendimento incidentale è fondamentale, dal momento che coinvolge gran parte delle esperienze che portano un manager a costruire il suo sistema di competenze. Tuttavia, esso non è sufficiente, perché dipende da fattori piuttosto casuali e difficilmente è in grado di produrre competenze altamente organizzate. Normalmente, invece, l’apprendimento intenzionale produce effetti più solidi. Quanto alla relazione e il confronto con interlocutori diversi. Per il 30% dei manager l’apprendimento sembra un derivato dei processi di feed back e di relazione. L’apprendimento in questi casi abbandona il solo ruolo di risposta a un bisogno immediato, ma diventa intenzionale proprio perché scaturisce dal confronto e dalla condivisione di competenze diverse. Un ulteriore dato di interesse derivato da questa domanda è che gli attori relazionali privilegiati generalmente sono i pari o i collaboratori, ma raramente i capi. A questi ultimi viene assegnato il ruolo di controllori di risultati di budget, ma non costituiscono fonte di confronto e di stimolo evolutivo.

Una volta individuati i Suoi bisogni di apprendimento, come fa per soddisfarli?

Il 65% dei manager ricorre a una modalità basata sulla iniziativa personale, sul fare operativo e sul criterio della gestione autodidatta. Solo il 35%, invece, partecipa a iniziative di apprendimento strutturate, come corsi formativi specifici o proposte suggerite dalla funzione Hr. Sorge spontanea a questo punto una domanda: o le funzioni specialistiche preposte (leggasi Hr) si occupano poco di questa tipologia di popolazione, ricoprendo le stesse posizioni di responsabilità, oppure i manager non vedono negli specialisti interni una fonte di indirizzo per i loro bisogni?

Durante l’apprendimento cosa le crea più difficoltà?

Le principali difficoltà possono essere sintetizzate in 4 cause principali:

Guardando il Suo presente, quali parti del suo lavoro trova maggiormente difficili?

In quali ambiti vorrebbe imparare di più?

Il 55% dei manager evidenzia nell’area relazionale l’ambito prevalente di apprendimento. A detta di molti l’area relazionale diventa sempre più il fulcro del mestiere manageriale. Non potrebbe essere diversamente e spesso si dimentica la natura ‘pubblica’ del ruolo, la sua visibilità verso l’esterno dell’organizzazione e verso l’esterno. Si dimentica, a volte, che nella natura del ruolo manageriale prevale il suo ambito di dipendenza relazionale: un manager è tale perché i suoi risultati sono la diretta dipendenza dei risultati del suo team. Il 40% dei manager mette, invece, in prevalenza il contenuto tecnico dell’apprendimento legato alle diverse specializzazioni e alla diversificazione dei saperi necessari a ricoprire il ruolo stesso. Tutto ciò è abbastanza in linea con la necessità sempre più avvertita di allargare il contenuto conoscitivo ad ambiti collaterali alla propria funzione gestionale, ma non per questo di minore rilievo. A un manager oggi è richiesto di rinunciare alla profondità del sapere a favore del criterio dell’ampiezza. Un 5% di manager non è stato in grado di fornire una risposta a questo quesito.

Guardando il suo futuro manageriale… cosa potrebbe cambiare nel suo lavoro nei prossimi 3 anni?

Per circa il 50% dei manager (Tabella 3) il futuro è caratterizzato da maggiori responsabilità. Che l’essenza del ruolo manageriale è legata alla responsabilità può sembrare ovvio. Ma cosa vuol dire esercitare la responsabilità se non prevalentemente essere capaci, ossia essere competenti per affrontare le sfide crescenti?

Essere responsabili significa essere capaci di fare, garantendo l’efficacia dei risultati. Essere responsabili significa sapere governare le proprie azioni e non viverle in balia degli eventi. Ma come si concilia il senso di responsabilità con i continui cambiamenti, le incertezze, i mutamenti, l’imprevedibilità degli eventi. Ed allora, non è che questi manager stanno comunicando le loro paure e in qualche modo stanno chiedendo aiuto?

Di quali competenze avrà bisogno per rispondere a tali cambiamenti?

Se con il termine competenze comprendiamo da un lato l’ambito delle conoscenze tecnico-specialistiche e dall’altro quello delle capacità, il 62% dei manager esprime il bisogno di potenziare le competenze di tipo comportamentale, proprie del ruolo manageriale.

Quali sono i principali metodi di apprendimento a cui solitamente fa ricorso?

La prevalenza di indicazioni fornite sull’esperienza pratica risulta da un lato in linea con le risposte alla domanda “in che modo riesce a individuare i Suoi bisogni di apprendimento?”, ma può anche significare la necessità di accorciare i tempi dell’apprendimento stesso. Se l’apprendimento è la risposta a un bisogno gestionale al quale occorre fornire nel breve una risposta, il tempo stesso dell’apprendimento, in un mondo che va sempre più in fretta, diventa limitato. Non è da escludersi, però, che questa tipologia di risposta possa significare anche la necessità che l’apprendimento risulti maggiormente in linea con il personale stile di apprendimento. Infatti, altri dati, provenienti dall’utilizzo di un questionario sugli stili di apprendimento, mette in evidenza che all’aumentare delle responsabilità la porta dell’apprendimento privilegiata è proprio quella della esperienza concreta, che necessita di pragmatismo e utilità realizzativa.

Quali sono i metodi che ritiene più efficaci?

Le diverse risposte sulla efficacia dei diversi metodi di apprendimento sottolineano i dati della precedente domanda “Quali sono i principali metodi di apprendimento a cui solitamente fa ricorso?”, introducendo il tema del coaching e della sperimentazione. La valenza del coaching può risiedere nei suoi costrutti metodologici. Nell’attività di coaching si apprende dall’esperienza concreta, in linea con gli stili di apprendimento prevalenti, ma si recupera l’osservazione riflessiva nonostante i manager la indicano solo al 4% (learning by doing e learning by thinking). Un motivo può essere di natura psicologica: l’osservazione riflessiva richiede momenti di interruzione del fare per favorire il pensare. Ma non è che i nostri manager si sentano un po’ in colpa perché se dedicano tempo al pensare sottraggono energie al fare? Il coaching è una potente leva di apprendimento ma non può sostituirsi al team, grande bacino di coevoluzione di competenze manageriali.

Quali sono, per Lei, i fattori (intrinseci) che favoriscono l’apprendimento?

Il 60% dei manager coinvolti mette in evidenza che è la motivazione individuale il motore che attiva e sostiene l’apprendimento. I dati sono in linea con la specificità dell’apprendimento degli adulti. Sono i manager stessi i decisori dell’autonomia individuale finalizzata ad aprire o chiudere la porta dell’apprendimento. Il 21% dei manager coinvolti sostiene che è la percezione del bisogno a favorire l’apprendimento. Interessanti i dati ulteriori: la fiducia in sé considerata dal 7% un veicolo di efficacia, la perseveranza (6%) nell’iter di apprendimento, la concentrazione (4%) e l’avere partecipato a precedenti esperienze positivo di apprendimento (2%).

Quali sono, per Lei, i fattori (estrinseci) che favoriscono l’apprendimento?

Il fattore principale è costituito dall’azienda che sostiene e incoraggia l’apprendimento. L’importanza dell’ambiente viene ulteriormente sostenuto anche dalla necessità di creare occasioni di apprendimento, dal lavoro di team e dall’individuare e proteggere il tempo dedicato all’apprendimento.

Quali sono, per Lei, i fattori (intrinseci) che ostacolano l’apprendimento?

La motivazione, in modo speculare alla domanda “Quali sono, per Lei, i fattori (intrinseci) che favoriscono l’apprendimento?, costituisce il principale fattore ostacolante. Di estremo interesse risulta il dato relativo alle influenze delle precedenti esperienze di apprendimento che se non positive bloccano, in qualche modo, la successiva energia di investimento. Costanza e capacità di concentrazione sono state evidenziate dal 35% dei manager come segnale dello stress individuale dell’attuale periodo di turbolenza.

Quali sono, per Lei, i fattori (estrinseci) che ostacolano l’apprendimento?

L’organizzazione con la sua prassi, il suo stile di management e il suo sistema di valori costituisce ostacolo e blocco dei sistemi favorenti l’apprendimento stesso.

Come agire su questi fattori?

Vorremmo chiudere con alcune riflessioni prese a prestito da V.Galimberti I Miti del nostro tempo. “Conosciamo le malattie del corpo, con qualche difficoltà le malattie dell’anima, quasi per nulla le malattie della mente… Eppure, anche le idee della mente si ammalano, talvolta si irrigidiscono, talvolta si assopiscono talvolta, come le stelle, si spengono… E siccome la nostra vita è regolata dalle nostre idee, di loro dobbiamo aver cura… Molte sofferenze, molti disturbi, molti malesseri… nascono dalle nostre idee che, comodamente accovacciate nella pigrizia del nostro pensiero, non ci consentono di comprendere il mondo in cui viviamo, e soprattutto i suoi rapidi cambiamenti… E… tutti sappiamo che essere al mondo senza capire in che mondo siamo, perché disponiamo di idee elementari a cui restiamo arroccati per non smarrirci… è la via per estraniarci dal mondo… o per essere al mondo solo come spettatori straniti, quando non distratti, o disinteressati, o addirittura incupiti…”

Articolo tratto da: Persone & Conoscenze N. 71, pag. 30